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Da tempo cerco di meditare ogni giorno, se non altro per gli immediati benefici: più calma, concentrazione, lucidità, pace. In passato mi capitava di pensare: ma non sarà autosuggestione! Oggi, dopo tutti gli articoli scientifici che ho letto sui cambiamenti indotti nel cervello e sul corpo dalla meditazione non ho più dubbi: per avere risultati duraturi la meditazione deve essere un allenamento come qualsiasi altro allenamento.
Una musicista o un atleta si allenano tutti i giorni per padroneggiare la loro abilità e così se voglio essere sempre nel momento presente, libera da egoismo e insoddisfazione, anch’io devo meditare tutti i giorni! Per fortuna poi, quando sono colta da dubbio scettico, posso sempre fare una veloce ricerca in internet e leggermi gli ultimi articoli scientifici. Ecco di seguito un breve riassunto di due lavori pubblicati all’inizio del 2016: I cambiamenti indotti nel cervello dalla meditazione persistono durante il sonno
La neuroscienziata Daniela Dentico e i suoi colleghi hanno studiato il sonno di chi medita da lungo tempo confrontandolo con quello di persone che non meditano.
Il lavoro è stato pubblicato sulla rinomata rivista PLoS ONE. Lo stesso gruppo di scienziati aveva già scoperto in una ricerca precedente che durante il sonno di chi medita da lungo tempo si verifica un incremento di onde ad alta frequenza, chiamate "onde gamma", nella parte posteriore del cervello. Cercando quindi di integrare quei risultati, i ricercatori hanno monitorato l'attività del cervello durante il sonno dopo che i partecipanti allo studio avevano meditato per otto ore. Sono state registrate due sessioni in due giornate diverse: una dopo la pratica di meditazione Vipassana e l’altra dopo la pratica della meditazione Metta. La meditazione Vipassana consiste nel praticare un’attenzione non giudicante al flusso spontaneo dell’esperienza cosciente per acquisire consapevolezza della natura degli schemi mentali. Il suo fine è di coltivare un’attenzione meno reattiva alle emozioni, ai pensieri e alle sensazioni che avvengono nel momento presente in modo che non si amplifichino automaticamente e non creino stress mentale. Di solito è preceduta dall’attenzione focalizzata su un oggetto preciso con lo scopo di domare la mente per sua natura instabile, caotica e occupata in un continuo chiacchiericcio interno. Nella meditazione Metta si porta l’attenzione su una persona o un gruppo di persone coltivando sentimenti di benevolenza e gentilezza amorevole per gli altri, accompagnata da intenzioni del tipo: “Che tutti gli esseri possano trovare la felicità e le cause della felicità ed essere liberi dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza.” È stato trovato un incremento significativo di onde a bassa frequenza nella parte frontale del cervello dopo le pratiche di Vipassana e di Metta, direttamente proporzionale all’esperienza meditativa. L’aumento era specifico durante il sonno non-REM. Sebbene il significato funzionale di questo risultato sarà indagato meglio in ricerche successive, gli autori ipotizzano che chi medita da tanto tempo abbia una maggior consapevolezza sia durante la veglia che durante il sonno. In generale questi risultati mostrano che dopo sessioni intensive di meditazione si verificano cambiamenti notevoli nel funzionamento del cervello durante il sonno. Continua dunque a consolidarsi l’evidenza che allenare l’attenzione consapevole, come nella meditazione, apporti positivi cambiamenti a lungo termine nel cervello. In che modo la consapevolezza influisce sulle emozioni?
In un lavoro pubblicato su Scientific Reports è stato dimostrato come essere consapevoli di ricevere stimoli negativi influenzi l’attività cerebrale e il comportamento delle persone.
Gli scienziati hanno infatti esaminato il modo in cui l’amigdala, una parte del cervello importante per l’elaborazione delle emozioni, risponde agli stimoli negativi in coordinazione con la corteccia prefrontale, una regione cerebrale coinvolta nella regolazione emotiva.
Nello studio i ricercatori hanno mostrato ai partecipanti delle immagini di volti di persone visibilmente impaurite.
In una condizione, detta ‘consapevole’, i partecipanti sapevano che avrebbero visto immagini di visi impauriti e avevano entrambi gli occhi aperti. Nell’altra condizione, detta ‘ignara’, i ricercatori hanno reso invisibili ai partecipanti le facce impaurite presentando quadrati colorati (chiamati ‘mondrian’) all’occhio dominante di ogni partecipante, mentre i volti impauriti venivano simultaneamente mostrati all’occhio non dominante di ogni persona. Questa procedura è utilizzata per far vivere l’esperienza di vedere solo i mondrian. Dopo aver visto i visi impauriti è stato chiesto ad ogni partecipante di valutare sulla base di una preferenza personale dei volti emotivamente neutri (mai visti prima). In accordo con studi precedenti, i ricercatori hanno trovato che quando le persone vedevano uno stimolo negativo (come un viso impaurito), in entrambe le condizioni ‘consapevole’ e ‘ignara’, aumentava l’attività dell’amigdala. Quando i partecipanti erano ‘ignari’ di vedere visi impauriti, però, il grado di attivazione dell’amigdala andava di pari passo con la loro bassa preferenza per i visi neutri. Questa attribuzione emotiva negativa (la bassa preferenza) non avveniva quando i partecipanti erano ‘consapevoli’ di vedere i visi impauriti. I ricercatori hanno poi scoperto che la corteccia prefrontale era più coinvolta quando le persone erano ‘consapevoli’ piuttosto che quando erano ‘ignare’. Inoltre una maggior connettività tra l’amigdala e la corteccia prefrontale era associata ad una minore mal-attribuzione emotiva nel valutare le facce neutre. Nel loro insieme questi risultati serviranno a capire come far sviluppare strategie vincenti a persone che devono affrontare situazioni difficili. Sembrerebbe utile favorire la consapevolezza di stimoli emotivi coinvolgendo meglio quelle aree del cervello che rendono improbabile il permanere di emozioni negative dopo che il soggetto ne è stato esposto suo malgrado. Infine, questo studio evidenzia anche che la struttura dei circuiti che coinvolgono la corteccia prefrontale e l’amigdala è molto variabile tra individui. Persone con una connettività strutturale maggiore nella sostanza bianca della corteccia prefrontale hanno valutato i visi neutri più piacevoli dopo aver visto i visi negativi, ma solo quando erano consapevoli dei visi impauriti. Questo suggerisce che la struttura del cervello di un individuo influisce sul modo in cui una persona interpreta e reagisce ad eventi che accadono dopo una provocazione emotiva negativa. Appare dunque evidente l’utilità di interventi che possono alterare la connessione strutturale, come la meditazione. I commenti sono chiusi.
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