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È ormai noto e accettato da tutti che il nostro sistema nervoso non è fisso e immutabile come si credeva una volta, ma altamente plastico, cioè capace di cambiare per tutta la vita. O meglio: le vie nervose principali di un essere umano sono determinate geneticamente per il fatto di appartenere alla specie umana (mentre un cane o un gatto, ad esempio, hanno vie nervose un po’ diverse), ma l’esperienza provoca poi modifiche fini delle connessioni tra i neuroni, determinate dalle informazioni che arrivano dai sensi, dall’ambiente e dall’interazione con altri cervelli (interazioni sociali).
Si parla di neuroplasticità
Ci sono circa 100 miliardi di neuroni nel cervello ed ogni neurone è collegato ad altri neuroni attraverso le sinapsi (in media 10.000 sinapsi per neurone). Per descrivere un insieme di neuroni collegati tra loro si parla di circuito neuronale.
I vari circuiti esistenti consentono le diverse funzioni del corpo (dai movimenti ai pensieri alle emozioni) e più vengono utilizzati, più si consolidano, proprio perché sono plastici e si modificano in base all’esperienza. I nostri cervelli sono riplasmati di continuo sia che lo vogliamo, ad esempio quando impariamo a suonare uno strumento musicale, sia che non lo vogliamo, ad esempio quando rispondiamo in modo automatico allo stress emotivo. In effetti la neuroplasticità accade molto più spesso in modo involontario. Le neuroscienze però oggi ci dicono che possiamo decidere di allenare il nostro cervello al benessere. La ricerca ha infatti scoperto che coltivare sane abitudini mentali, come meditare, ci consente di modificare il cervello in una direzione benefica. L’allenamento mentale della meditazione
L’allenamento mentale della meditazione è simile ad altre forme di acquisizione di abilità che inducono cambiamenti plastici nel sistema nervoso in generale e nel cervello in particolare. Ad esempio, quando impariamo a suonare uno strumento musicale o apprendiamo un nuovo sport il nostro cervello si riorganizza e si ristruttura. E quanto più spesso è esposto all’allenamento, tanto più i circuiti relativi si riorganizzano e si consolidano.
Allo stesso modo se il cervello è esposto spesso alla meditazione di consapevolezza, più stabili e durature diventano le vie neurali che promuovono l’attenzione e il benessere. Le neuroscienze dicono infatti che persone ansiose, depresse o stressate possono attivare intenzionalmente i circuiti del cervello associati alla felicità e i miglioramenti nella gestione dell’emotività e del dolore sono notevoli. Si sviluppano inoltre anche una migliore socialità con aumento dell’empatia, della compassione e della gratitudine. Tutte qualità che possono essere allenate. Cambiare la nostra mente può dunque contribuire a creare un mondo più gentile, più saggio e più compassionevole. Cambiando la tua mente contribuisci alla creazione di un mondo più gentile
Queste conoscenze sono oggi possibili, perché gli effetti della meditazione sono oggetto di studi rigorosi da quasi 30 anni. I primi pazienti che hanno beneficiato di protocolli clinici di meditazione (MBSR, mindfulness based stress reduction) sono stati quelli con disturbi d’ansia.
Da diversi anni è ormai chiaro ed evidente che meditare regolarmente riduce lo stress e l’ansia, regolarizza il battito cardiaco e la pressione, potenzia il sistema immunitario, previene le ricadute nelle dipendenze e nei soggetti con depressione ricorrente e riduce la sofferenza nel dolore cronico di malattie molto diverse tra loro: dalla fibromialgia al dolore lombare, dalla sindrome del colon irritabile fino alla sclerosi multipla, il cancro o la SLA. Ed è proprio la vasta gamma di benefici effetti fisici e psicologici che ha spinto negli ultimi anni i ricercatori ad indagare quali sono i meccanismi cellulari e molecolari alla base di tutti questi effetti. Vediamone qualcuno. Chi medita soffre meno
Per quanto riguarda la minor sensibilità al dolore riscontrata in esperti meditanti riporto 2 scoperte fondamentali delle neuroscienze.
La prima, relativa ad uno studio del 2011, rivela come chi medita da tempo non ha ridotto la capacità di sentire il dolore, anzi i circuiti deputati a questo (corteccia cingolata anteriore, ACC, talamo e insula) sono potenziati, ma diminuisce la connettività funzionale tra questi e le aree responsabili dell’interpretazione del dolore (corteccia prefrontale, PFC, amigdala, AMY, ippocampo).
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